mercoledì 3 giugno 2015

Madagascar 2002



Missione di MAHITSI in Madagascar - Giugno 2002
CRONACA DI UN’ESPERIENZA

Questo racconto dell’esperienza vissuta nella missione di Mahitsi non può non aprirsi con un sincero ed affettuoso grazie a Madre Vincenza, fondatrice e generale delle Ancelle della Visitazione, che mi ha consentito di accompagnarla nella visita in terra malgascia, dove siamo arrivati nel pomeriggio di martedì 4 giugno e dove abbiamo trovato tanto calore ed accoglienza da parte della comunità guidata da Suor Patrizia e Suor Ciprienne. E’ una comunità giovane, serena, in crescita, che dopo aver sperimentato la carenza dei servizi più elementari, si ritrova in una casa nuova che sarà il punto di riferimento formativo e sociale della missione. Parlare di casa in occidente significa pensare alle nostre abitazioni dotate di ogni comfort; da quelle parti, in quella parte di mondo non è così in quanto si tratta comunque di una struttura ‘povera’, dove l’acqua è tirata da due pozzi costruiti nel giardino, dove si cucina sul carbone, dove i rifiuti vanno a dispersione nel terreno, dove spesso va via l’energia elettrica, e dove di certo non si dorme su reti e materassi ortopedici con lato estivo e lato invernale. Ma, rispetto a dove stavano prima e rispetto ai tuguri malgasci, è una casa.
Il cuore di questo nuovo centro è la cappellina, dove quasi tutti i giorni abbiamo celebrato la divina Eucaristia, l’unico Signore che ci rende figli dello stesso Padre e quindi fratelli con tutti. Forse l’unico momento dove le diversità si ricompongono… ma le ingiustizie permangono, insopportabili solo a vedersi, ad osservare mentre si ingoiano i bocconi amari di una storia fatta da un’Europa cosiddetta cristiana che ha avuto l’abilità di spaccare quanto Dio aveva creato: un unico mondo, un’unica terra, una sola umanità.
Mahitsi è una località che dista circa 40 Km dalla capitale ed è attraversata dall’unica strada asfaltata dell’intero paese; fa parte della Diocesi di Tana (nome abbreviato della capitale) che su due milioni di abitanti conta 700.000 cristiani cattolici e circa 150 sacerdoti. Il nucleo cittadino di Mahitsi è di circa 7.000 abitanti, dei quali 1.500 sono cristiani cattolici mentre l’intero distretto conta circa 30.000 abitanti con un 25% di cristiani cattolici e 27 chiese dislocate su tutto il territorio, dove  due sacerdoti malgasci, accompagnati dalle suore, si recano la domenica in un tour continuo per l’intero anno, per cui in queste comunità si celebra la Messa tre o quattro volte nel corso dell’anno. Le comunità sono guidate nei diversi momenti della vita pastorale da un responsabile catechista, mantenuto dalle stesse comunità così come i sacerdoti e tutte le attività pastorali sono sovvenzionate da tutti i cristiani. Abbiamo più volte attraversato la cittadina che si estende lungo la strada asfaltata tra fogna a cielo aperto e polvere che si mescola a frutta, pane e carni esposti per la vendita su misero tavolame o semplicemente per terra e una continua, ininterrotta processione di ‘miserabili’ con tanti bambini laceri e a piedi nudi. All’interno di Mahitsi, come della capitale e come in tutti i villaggi, lo scenario è sempre lo stesso, appiattito nella miseria. Qui si va alla ricerca di un pezzo di pane, dalle nostre parti alla ricerca spasmodica e nevrotica del superfluo, dell’inutile, di un ‘di più’ ricercato con arroganza, con sotterfugi, con ossessione e cattiveria. Certo, bene e male sono dappertutto, nord e sud del mondo sono presenti ovunque. Ma la sproporzione è abissale tra il nord e il sud dell’occidente e tra il nord e il sud di questo mondo lasciato marcire nel sottosviluppo.


 
6 giugno: la giornata cruciale con l’inaugurazione della casa delle suore.
Dalle 10,30 alle 13,30 la celebrazione eucaristica, presieduta dal cardinale di Tana, nella chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna Assunta. Splendida celebrazione malgascia con danze e canti locali che, per un momento, ci hanno fatto toccare il cielo. Si respira la preghiera, l’adorazione, la gioia. Tre ore di celebrazione. Dalle nostre parti è un sogno, da noi si guarda l’orologio. Lì il tempo si ferma: c’è Dio da adorare, c’è il Signore Gesù da lodare, c’è lo Spirito da invocare. E il tempo non conta, perché conta solo Lui, almeno in questo momento celebrativo. Cantano tutti, pregano tutti, danzano tutti, piccoli e grandi. E tutti, anche i bambini, fanno la loro offerta per il mantenimento dei sacerdoti, del catechista, della chiesa e delle attività pastorali. Tutto è sostenuto da tutti, anche il più misero porta la sua ‘misera’ offerta. Tutto bello ma due momenti hanno suscitato particolare attenzione e commozione: l’intronizzazione della Parola di Dio tra le danze dal fondo della chiesa e davanti all’altare, dove la Parola viene portata e accolta con lancio di fiori; il saluto di pace, quando tutti, dal Cardinale presidente all’ultimo fedele in fondo alla chiesa, ci si tiene per mano, dondolando in catena umana sulle note di un canto di pace. Al termine della celebrazione eucaristica il Cardinale Armand ha benedetto la nuova casa, partecipando poi con un centinaio di persone al pranzo, affettuosamente e accuratamente preparato dalle Suore.


Nei giorni successivi:
¨      Abbiamo visitato la scuola cattolica, con circa settecento alunni dalle materne di tre anni alle medie e superiori. Anche qui un disastro, per il fatiscente edificio, per le misere attrezzature scolastiche e per la non igiene, anche la più elementare.
¨      Abbiamo incontrato, nella casa, un gruppo di cinquanta giovani a rappresentare tutti i gruppi giovanili della parrocchia per un momento di festa, di convivialità e di ringraziamento, chiedendoci un aiuto per la loro formazione spirituale. Sì, chiedono il pane dello spirito! Un bel momento, gioioso e speranzoso.
¨      La domenica 9 giugno abbiamo visitato il monastero dei benedettini, in alta montagna, dove si è celebrata, con loro, la divina eucaristia.
¨      Si è andati a visionare il terreno che si intende acquistare per una nuova casa di accoglienza e di formazione.
¨      Abbiamo visitato la capitale Antananarivo, dove è un formicolare di persone in assoluto degrado e in condizioni subumane.
¨      Abbiamo incontrato alcuni giovani che hanno espresso il desiderio vocazionale nell’apostolato della Visitazione.
¨      Il tutto è stato sempre suggellato dalla preghiera e dalla celebrazione eucaristica nella cappellina delle suore che è il cuore, il centro e il fulcro di ogni missione.

“Quando Barnaba giunse e vide l'effetto della grazia di Dio, si rallegrò, ed esortava tutti a rimanere con animo fermo fedeli al Signore” (Atti 11,23): sono le parole bibliche con cui ci siamo accomiatati dalla comunità di Mahitsi. Un cuore rallegrato dalla grazia di Dio per la casa inaugurata e per una comunità religiosa unita, serena, che sta diventando punto di riferimento spirituale e sociale per la cittadina malgascia. Siamo ripartiti con la gioia di aver vissuto un’esperienza di sincera comunione ma anche con una tristezza dentro, per tanta miseria umana che grida vendetta al cospetto di Dio e per tanto bisogno di presenza formativa ed apostolica. Ma un passo alla volta sulla via del bene allevierà le pene del cuore e le sofferenze di qualcuno.
Deo gratias.


UNA RIFLESSIONE

Mai avrei potuto immaginare quello che si è visto. Eppure non si era nuovi ad esperienze di povertà. Ma il Madagascar non è una terra povera. E’ una terra misera e vi è grande differenza tra povertà e miseria, tra un qualcosa ed il nulla, tra l’essere e il non essere. Avevamo sentore di qualcosa, anche attraverso un filmato su Mahitsi, ma la realtà è oltre, molto oltre il filmato o una qualsiasi iperbolica immaginazione.
Ho visto, mio Dio, il non essere! La Tua creatura, la Tua immagine ridotta a nullità! Qui non ci sono sacche di povertà in un mare di abbondanza, qui è tutto il contrario. Qui c’è un mare di miseria e qualche sacca di ricchezza corrotta e pilotata. Insomma, una catastrofe umana, non naturale ma indotta, pianificata, istituzionalizzata.
Una miseria strutturale, prodotta come sistema, mantenuta tale, a vantaggio di pochi qui, a vantaggio di tanti in occidente e nel Nord del mondo. Sì, perché il mondo è diviso, spaccato: il nostro occidente ‘abbuffino’ che accumula, manipola, mai satollo, anzi insaziabilmente rapace che tutto saccheggia e l’altro, sì proprio un altro mondo, un’altra storia, vista in qualche documentario, visto ma non vissuto e ciò che si vive è molto, molto di più di ciò che si vede in sporadici fotogrammi.
D’altro canto, come si fa a raccontare la miseria! a rendere visibile e vivibile una umanità ridotta strutturalmente, nell’anima e nel corpo, a nullità, a massa uniforme di sporcizia e di fame, dove anche la dignità è stata saccheggiata. Sì, è il cosiddetto mondo del sottosviluppo, voluto e mantenuto tale. “Guardare il mondo con gli occhi dei poveri”: è una espressione ricorrente nella teologia occidentale. Ma è un’espressione! Provando a mettersi in questa ottica, non dall’occidente ma qui, viene rabbia.
Profondo disagio e tanta rabbia hanno provocato le giornate trascorse a Mahitsi, pochi chilometri dalla capitale Antananarivo ma dalla quale non si discosta molto perché lì, in quella ‘terra rossa’, tutto è uguale, tutto è appiattito nella miseria. Il disagio di appartenere al mondo dell’opulenza e la rabbia che scaturisce terribilmente spontanea se tenti di metterti per un attimo dall’altra parte e ti chiedi: dove sono i duemila anni di cristianesimo? Dove sono “i cieli nuovi e la terra nuova” inaugurati da quel Verbo che si è fatto carne e che si è lasciato inchiodare su una croce? Dov’è il Cristo annunciato e predicato, in questo stridente contrasto? vergognosamente e colpevolmente stridente questo contrasto!
“Ti guardo, crocifisso mio Signore e in Te vedo il volto dei miseri di questa terra e di questo mondo. Perdonami se non riesco a vedere in Te, ora, il volto del cosiddetto mondo cristiano abbrutito dall’opulenza che nasconde il Tuo volto”.
Mi viene in mente un recente libro dal titolo “La fede in Gesù Cristo. Saggio a partire dalle vittime”, dove l’autore (J. Sobrino) recupera nell’idea di ‘vittime’ la provocazione racchiusa in precedenza nel termine ‘poveri’ per cui la salvezza o è per le vittime o non è salvezza. La fede in Gesù, come fiducia in una realtà assoluta portatrice di senso, comporta tuttavia una presa di posizione nei confronti della realtà: un’apertura al mistero non manipolabile della vita concreta, con il suo carico di disillusioni e di crudeltà, nell’umiltà che nasce dal fatto che Dio non è ancora tutto in tutto. In terra malgascia, è un intero popolo caricato di crudeltà, miseramente sottoposto, come tutto il continente africano e l’intero Sud del mondo, a un perenne genocidio economico che spoglia l’uomo di tutto, anche della sua inviolabile dignità.
E la globalizzazione? Fa parte del vocabolario dei ‘grandi’. Ma Dio guarda i piccoli e la nostra vita dovrebbe essere un prolungamento di questo sguardo d’amore per chinarsi sulle miserie umane e indossare il grembiule della lavanda dei piedi, nella inquieta e, allo stesso tempo, serena consapevolezza che “la notte è buia e io sono lontano da casa; ma non pretendo di vedere l’orizzonte: un passo alla volta mi basta”. Al prossimo passo.

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