Missione di MAHITSI in Madagascar - Giugno 2002
CRONACA DI UN’ESPERIENZA
Questo racconto dell’esperienza
vissuta nella missione di Mahitsi non può non aprirsi con un sincero ed
affettuoso grazie a Madre Vincenza, fondatrice e generale delle Ancelle della
Visitazione, che mi ha consentito di accompagnarla nella visita in terra
malgascia, dove siamo arrivati nel pomeriggio di martedì 4 giugno e dove
abbiamo trovato tanto calore ed accoglienza da parte della comunità guidata da
Suor Patrizia e Suor Ciprienne. E’ una comunità giovane,
serena, in crescita, che dopo aver sperimentato la carenza dei servizi più
elementari, si ritrova in una casa nuova che sarà il punto di riferimento
formativo e sociale della missione. Parlare di casa in occidente significa
pensare alle nostre abitazioni dotate di ogni comfort; da quelle parti, in
quella parte di mondo non è così in quanto si tratta comunque di una struttura
‘povera’, dove l’acqua è tirata da due pozzi costruiti nel giardino, dove si
cucina sul carbone, dove i rifiuti vanno a dispersione nel terreno, dove spesso
va via l’energia elettrica, e dove di certo non si dorme su reti e materassi
ortopedici con lato estivo e lato invernale. Ma, rispetto a dove stavano prima
e rispetto ai tuguri malgasci, è una casa.
Il cuore di questo nuovo
centro è la cappellina, dove quasi tutti i giorni abbiamo celebrato la divina
Eucaristia, l’unico Signore che ci rende figli dello stesso Padre e quindi
fratelli con tutti. Forse l’unico momento dove le diversità si ricompongono… ma
le ingiustizie permangono, insopportabili solo a vedersi, ad osservare mentre
si ingoiano i bocconi amari di una storia fatta da un’Europa cosiddetta
cristiana che ha avuto l’abilità di spaccare quanto Dio aveva creato: un unico
mondo, un’unica terra, una sola umanità.
Mahitsi è una località che dista
circa 40 Km dalla capitale ed è attraversata dall’unica strada asfaltata
dell’intero paese; fa parte della Diocesi di Tana (nome abbreviato della
capitale) che su due milioni di abitanti conta 700.000 cristiani cattolici e
circa 150 sacerdoti. Il nucleo cittadino di Mahitsi è di circa
7.000 abitanti, dei quali 1.500 sono cristiani cattolici mentre l’intero
distretto conta circa 30.000 abitanti con un 25% di cristiani cattolici e 27
chiese dislocate su tutto il territorio, dove
due sacerdoti malgasci, accompagnati dalle suore, si recano la domenica in
un tour continuo per l’intero anno,
per cui in queste comunità si celebra la Messa tre o quattro volte nel corso
dell’anno. Le comunità sono guidate nei diversi momenti della vita pastorale da
un responsabile catechista, mantenuto dalle stesse comunità così come i
sacerdoti e tutte le attività pastorali sono sovvenzionate da tutti i
cristiani. Abbiamo più volte
attraversato la cittadina che si estende lungo la strada asfaltata tra fogna a
cielo aperto e polvere che si mescola a frutta, pane e carni esposti per la
vendita su misero tavolame o semplicemente per terra e una continua,
ininterrotta processione di ‘miserabili’ con tanti bambini laceri e a piedi
nudi. All’interno di Mahitsi, come della capitale e come in tutti i villaggi,
lo scenario è sempre lo stesso, appiattito nella miseria. Qui si va alla ricerca di un
pezzo di pane, dalle nostre parti alla ricerca spasmodica e nevrotica del
superfluo, dell’inutile, di un ‘di più’ ricercato con arroganza, con
sotterfugi, con ossessione e cattiveria. Certo, bene e male sono dappertutto,
nord e sud del mondo sono presenti ovunque. Ma la sproporzione è abissale tra
il nord e il sud dell’occidente e tra il nord e il sud di questo mondo lasciato
marcire nel sottosviluppo.
6 giugno: la giornata cruciale con l’inaugurazione
della casa delle suore.
Dalle 10,30 alle 13,30 la
celebrazione eucaristica, presieduta dal cardinale di Tana, nella chiesa
parrocchiale dedicata alla Madonna Assunta. Splendida celebrazione malgascia
con danze e canti locali che, per un momento, ci hanno fatto toccare il cielo.
Si respira la preghiera, l’adorazione, la gioia. Tre ore di celebrazione. Dalle
nostre parti è un sogno, da noi si guarda l’orologio. Lì il tempo si ferma: c’è
Dio da adorare, c’è il Signore Gesù da lodare, c’è lo Spirito da invocare. E il
tempo non conta, perché conta solo Lui, almeno in questo momento celebrativo.
Cantano tutti, pregano tutti, danzano tutti, piccoli e grandi. E tutti, anche i
bambini, fanno la loro offerta per il mantenimento dei sacerdoti, del catechista,
della chiesa e delle attività pastorali. Tutto è sostenuto da tutti, anche il
più misero porta la sua ‘misera’ offerta. Tutto bello ma due momenti
hanno suscitato particolare attenzione e commozione: l’intronizzazione della Parola di Dio tra le danze dal fondo della
chiesa e davanti all’altare, dove la Parola viene portata e accolta con lancio
di fiori; il saluto di pace, quando
tutti, dal Cardinale presidente all’ultimo fedele in fondo alla chiesa, ci si
tiene per mano, dondolando in catena umana sulle note di un canto di pace. Al termine della celebrazione eucaristica il
Cardinale Armand ha benedetto la nuova casa, partecipando poi con un centinaio
di persone al pranzo, affettuosamente e accuratamente preparato dalle Suore.
Nei giorni successivi:
¨
Abbiamo visitato la scuola cattolica, con circa settecento alunni dalle
materne di tre anni alle medie e superiori. Anche qui un disastro, per il
fatiscente edificio, per le misere attrezzature scolastiche e per la non
igiene, anche la più elementare.
¨
Abbiamo incontrato, nella casa, un gruppo di cinquanta giovani a
rappresentare tutti i gruppi giovanili della parrocchia per un momento di
festa, di convivialità e di ringraziamento, chiedendoci un aiuto per la loro
formazione spirituale. Sì, chiedono il pane dello spirito! Un bel momento,
gioioso e speranzoso.
¨
La domenica 9 giugno abbiamo visitato il monastero dei benedettini, in
alta montagna, dove si è celebrata, con loro, la divina eucaristia.
¨
Si è andati a visionare il terreno che si intende acquistare per una nuova
casa di accoglienza e di formazione.
¨
Abbiamo visitato la capitale Antananarivo, dove è un formicolare di
persone in assoluto degrado e in condizioni subumane.
¨
Abbiamo incontrato alcuni giovani che hanno espresso il desiderio
vocazionale nell’apostolato della Visitazione.
¨
Il tutto è stato sempre suggellato dalla preghiera e dalla celebrazione
eucaristica nella cappellina delle suore che è il cuore, il centro e il fulcro
di ogni missione.
“Quando Barnaba giunse e vide l'effetto della
grazia di Dio, si rallegrò, ed esortava tutti a rimanere con animo fermo fedeli
al Signore” (Atti 11,23): sono le parole bibliche con cui ci siamo accomiatati
dalla comunità di Mahitsi. Un cuore rallegrato dalla grazia di Dio per la casa
inaugurata e per una comunità religiosa unita, serena, che sta diventando punto
di riferimento spirituale e sociale per la cittadina malgascia. Siamo ripartiti con la gioia
di aver vissuto un’esperienza di sincera comunione ma anche con una tristezza
dentro, per tanta miseria umana che grida vendetta al cospetto di Dio e per
tanto bisogno di presenza formativa ed apostolica. Ma un passo alla volta sulla
via del bene allevierà le pene del cuore e le sofferenze di qualcuno.
Deo gratias.
UNA RIFLESSIONE
Mai avrei potuto immaginare
quello che si è visto. Eppure non si era nuovi ad esperienze di povertà. Ma il
Madagascar non è una terra povera. E’ una terra misera e vi è grande differenza
tra povertà e miseria, tra un qualcosa ed il nulla, tra l’essere e il non
essere. Avevamo sentore di qualcosa, anche attraverso un filmato su Mahitsi, ma la realtà è oltre, molto
oltre il filmato o una qualsiasi iperbolica immaginazione.
Ho visto, mio Dio, il non
essere! La Tua creatura, la Tua immagine ridotta a nullità! Qui non ci sono
sacche di povertà in un mare di abbondanza, qui è tutto il contrario. Qui c’è
un mare di miseria e qualche sacca di ricchezza corrotta e pilotata. Insomma,
una catastrofe umana, non naturale ma indotta, pianificata, istituzionalizzata.
Una miseria strutturale,
prodotta come sistema, mantenuta tale, a vantaggio di pochi qui, a vantaggio di
tanti in occidente e nel Nord del mondo. Sì, perché il mondo è diviso,
spaccato: il nostro occidente ‘abbuffino’ che accumula, manipola, mai satollo,
anzi insaziabilmente rapace che tutto saccheggia e l’altro, sì proprio un altro
mondo, un’altra storia, vista in qualche documentario, visto ma non vissuto e
ciò che si vive è molto, molto di più di ciò che si vede in sporadici
fotogrammi.
D’altro canto, come si fa a
raccontare la miseria! a rendere visibile e vivibile una umanità ridotta
strutturalmente, nell’anima e nel corpo, a nullità, a massa uniforme di
sporcizia e di fame, dove anche la dignità è stata saccheggiata. Sì, è il
cosiddetto mondo del sottosviluppo, voluto e mantenuto tale. “Guardare il mondo
con gli occhi dei poveri”: è una espressione ricorrente nella teologia
occidentale. Ma è un’espressione! Provando a mettersi in questa ottica, non
dall’occidente ma qui, viene rabbia.
Profondo disagio e tanta
rabbia hanno provocato le giornate trascorse a Mahitsi, pochi chilometri dalla
capitale Antananarivo ma dalla quale non si discosta molto perché lì, in quella
‘terra rossa’, tutto è uguale, tutto è appiattito nella miseria. Il disagio di
appartenere al mondo dell’opulenza e la rabbia che scaturisce terribilmente
spontanea se tenti di metterti per un attimo dall’altra parte e ti chiedi: dove
sono i duemila anni di cristianesimo? Dove sono “i cieli nuovi e la terra
nuova” inaugurati da quel Verbo che si è fatto carne e che si è lasciato inchiodare
su una croce? Dov’è il Cristo annunciato e predicato, in questo stridente
contrasto? vergognosamente e colpevolmente stridente questo contrasto!
“Ti guardo, crocifisso mio
Signore e in Te vedo il volto dei miseri di questa terra e di questo mondo.
Perdonami se non riesco a vedere in Te, ora, il volto del cosiddetto mondo
cristiano abbrutito dall’opulenza che nasconde il Tuo volto”.
Mi viene in mente un recente
libro dal titolo “La fede in Gesù Cristo. Saggio a partire dalle vittime”, dove
l’autore (J. Sobrino) recupera nell’idea di ‘vittime’ la provocazione racchiusa
in precedenza nel termine ‘poveri’ per cui la salvezza o è per le vittime o non
è salvezza. La fede in Gesù, come fiducia in una realtà assoluta portatrice di
senso, comporta tuttavia una presa di posizione nei confronti della realtà:
un’apertura al mistero non manipolabile della vita concreta, con il suo carico
di disillusioni e di crudeltà,
nell’umiltà che nasce dal fatto che Dio non è ancora tutto in tutto. In terra
malgascia, è un intero popolo caricato di crudeltà, miseramente sottoposto,
come tutto il continente africano e l’intero Sud del mondo, a un perenne
genocidio economico che spoglia l’uomo di tutto, anche della sua inviolabile
dignità.
E la globalizzazione? Fa
parte del vocabolario dei ‘grandi’. Ma Dio guarda i piccoli e la nostra vita
dovrebbe essere un prolungamento di questo sguardo d’amore per chinarsi sulle
miserie umane e indossare il grembiule della lavanda dei piedi, nella inquieta
e, allo stesso tempo, serena consapevolezza che “la notte è buia e io sono lontano da casa; ma non pretendo di vedere
l’orizzonte: un passo alla volta mi basta”. Al prossimo passo.
Nessun commento:
Posta un commento