lunedì 23 novembre 2015

Ricordo indelebile

23 novembre 1980 - 23 novembre 2015


Ero sacerdote da qualche mese e muovevo i primi passi ministeriali quando la sera del 23 novembre 1980 la terra tremò provocando morte e distruzione, lacerando profondamente il tessuto sociale, civile e morale di questa comunità. Da quella sera iniziava una storia che avrebbe segnato radicalmente il cammino pastorale e gli anni Ottanta e Novanta sono stati vissuti nel segno di quell’evento sismico che sconvolse l’intera comunità. 


La chiesa italiana, all’epoca, tramite la Caritas nazionale, indirizzò le diocesi e le singole comunità parrocchiali verso un progetto ecclesiale di rinnovamento, cercando di cogliere l’evento sismico come possibilità di rilancio sociale e religioso, mettendo a disposizione delle comunità colpite i Centri della comunità, strutture polivalenti a servizio di tutti i bisogni della gente e non solo della vita liturgica. Il Centro comunitario, ad Acerno, fu donato dalla Caritas diocesana di Arezzo con cui si era gemellati e il gemellaggio è stata un’altra grande esperienza di vita anche per i diversi volontari, sacerdoti e laici, che si sono alternati in paese, contribuendo ad aggregare, a fare animazione e a tenere viva la speranza. Il centro comunitario venne inaugurato il 28 giugno 1981 con una solenne celebrazione, presieduta dal nostro Arcivescovo Mons. Gaetano Pollio. Nel 1983 poi ci è stata donata un’altra struttura polivalente dal Liceo classico di Modica (Ragusa), montata alle spalle del Centro con il contributo del Catholic Relief Service (la Caritas americana), e che abbiamo utilizzato prevalentemente per attività teatrale e cinematografica Rifacendosi allo slogan del Vescovo di Udine, quando ci fu il terremoto in Friuli nel maggio 1976, e cioè “sono crollate le chiese, forse ora nascerà la Chiesa”, ci si proponeva di rinnovare la Parrocchia, trasformandola da struttura burocratica ormai sclerotizzata a luogo di fede adulta capace di testimoniare la carità nella coniugazione con la catechesi e la liturgia. 


Io ebbi l’ardire di fare mio questo progetto e di viverlo fino in fondo, provocando inevitabilmente rotture e contraddizioni, attese e risposte, accoglienza e rifiuti, taciti assensi e subdoli dissensi.  Nella comunità si cominciò a parlare di comitati di gestione, di consigli parrocchiali, di vita pastorale, a fare pubbliche assemblee e dibattere i temi più disparati, a fare aggregazione e a promuovere cultura nello stesso ambiente dove venivano celebrati l’Eucaristia e gli altri  sacramenti. Si tentò quell’operazione, auspicata da Paolo VI negli anni del dopo concilio, di coniugare la liturgia con la vita, la fede con la cultura, la speranza con un progetto ecclesiale non nato a tavolino ma costruito giorno per giorno a partire dai bisogni concreti dell’uomo e dalle istanze evangeliche di liberazione. Quegli furono profondamente segnati da questo lavoro, inserito nel programma pastorale Comunione e Comunità e lievitato da quello straordinario documento dei Vescovi, nel 1981, La Chiesa italiana e le prospettive del paese, assunto come percorso concreto di evangelizzazione e di servizio, a partire dagli ultimi, non stando più alla finestra o nel chiuso delle sacrestie bensì uscendo allo scoperto per “gridare sui tetti ciò che si è ascoltato nelle orecchie”. È stato un lavoro certamente non esente da errori e da esagerazioni, ma intriso di passionalità pastorale e di servizio permanente per costruire una rete di comunione, di aggregazione, di reciprocità che ha prodotto, nel tempo, assunzione di responsabilità all’interno della comunità e ha favorito il sorgere degli organismi laicali di partecipazione, dal consiglio pastorale ai vari gruppi di catechesi, di animazione liturgica, di volontariato, di animazione missionaria e alla caritas parrocchiale, con il vivo desiderio di operare un ‘balzo innanzi’ nella maturazione della fede e della testimonianza della carità, “con la più chiara coscienza che il nostro non è il tempo della semplice conservazione dell'esistente, ma della missione". Questo tempo è stato profondamente segnato dal principio della corresponsabilità ecclesiale su modello di chiesa in cui la partecipazione corresponsabile è elemento non facoltativo della vita comunitaria alla luce del diritto/dovere di tutti i credenti di farsi carico dell’edificazione ecclesiale sul piano progettuale ed operativo.

Lungo questo itinerario si è ritenuto necessario operare nella comunità il tanto richiesto passaggio da una pastorale rituale e cultuale, di mera conservazione, ad una pastorale missionaria che potesse recuperare, accanto alla funzione liturgica ed evangelizzatrice della chiesa, l’essenzialità della missione regale che impone di servire Gesù Cristo, Maestro e Signore, non solo e non tanto con i sontuosi paramenti liturgici ma con il grembiule della lavanda dei piedi.


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